PIWI - Le sorprese che non ti aspetti

PIWI - Le sorprese che non ti aspetti

PIWI

Partiamo dal nome o meglio dall'acronimo. Per noi abituati a pensare che gli acronimi provengano tutti, o quasi, dal mondo anglosassone c'è la prima sorpresa. PIWI sintetizza la parola tedesca PILZWIDERSTANDFÄHIGE ovvero Resistente ai Funghi. Quindi un vitigno PIWI altro non è che una varietà di vite 'resistente alle malattie fungine'.

La seconda sorpresa è che il movimento attorno alle coltivazioni PIWI sta crescendo in Italia, in modo rapido e importante.

Perché una sorpresa ? Perché la ricerca nell'ambito delle varietà resistenti non è di questi anni, anzi, è possibile risalire nel tempo alla fine dell'Ottocento ed in particolare, guarda caso, in Francia. 

A partire dalla metà dell'Ottocento infatti, erano comparse improvvisamente malattie della vite fino allora sconosciute e devastanti, come oidio e peronospora, entrambe dovute a tipi diversi di funghi, e la fillossera della vite, una malattia dovuta ad un insetto fitofago che attacca in prevalenza la radice della pianta, uccidendola. 

Tutte queste patologie erano originarie del Nord America e sconosciute fino ad allora in Europa, quindi senza efficaci contromisure. 

Questo fatto comportò quasi la fine della viticoltura europea. Per l'oidio la soluzione fu trovata abbastanza rapidamente, con trattamenti a base di zolfo. Anche per la peronospora la cura fu individuata nella c.d. poltiglia bordolese, un composto fungicida efficace a base di rame e calcio, già noto al tempo dei Romani.

Più difficile risultò invece debellare la fillossera. La soluzione per questa malattia si trovò quando si scoprì che l'innesto di viti europee su piede (radici) di viti americane forniva l'opportuna resistenza all'insetto.

Le viti americane avevano già sviluppato una naturale resistenza all'insetto, al contrario di quelle europee che si trovarono solo allora a fronteggiare questo micidiale attacco.

Quindi, radice (piede) americano e apparato vegetativo e riproduttivo europeo. Questo 'ibrido', dovuto a innesto, fu la soluzione brillante e tutto sommato poco 'onerosa' rispetto ad altre tecniche 'meccaniche' sperimentate in quegli anni, tipo sommergere o insabbiare il vigneto, per rendere difficile, e così limitare, l'azione mortale dell'afide.

Per inciso, già in quegli anni ci si accorse che esistevano particolari vitigni naturalmente resistenti, comunemente riconosciuti da allora come "a piede franco" che quindi, anche ai giorni nostri, mantengono l'apparato radicale originario.

Tornando al nostro argomento, in quegli anni di grande paura e preoccupazione per le sorti della viticoltura europea, scenziati e ricercatori avviarono il tentativo di selezionare, attraverso incroci tra vite europea e vite americana, vitigni in grado di resistere agli attacchi patogeni, cercando al contempo di mantenere le qualità organolettiche delle varietà europee. 

Queste ricerche, pur riuscendo a produrre qualche interessante risultato, non portarono però alla selezione di ibridi che garantissero la medesima qualità dei vitigni 'puri'. Nonostante ciò, a cavallo delle due guerre, molti ettari di vigneti in Francia furono messi a coltura con queste nuove varietà, provocando un qualche sconquasso al mercato per via della drastica riduzione dei costi di produzione, dovuti all'uso quasi nullo di specifici trattamenti fungicidi. Una dubbia informazione riguardante presunti danni alla salute dei consumatori, pose però rapidamente fine a queste coltivazioni.

Oggi, la ricerca di vitigni maggiormente resistenti alle malattie si inquadra nel più vasto movimento di uso sostenibile delle risorse agricole e forestali, di riduzione dei trattamenti con fitofarmaci di origine chimica, di attenzione al naturale e biologico per andare incontro alle aspettative di protezione dell'ambiente e della salute.

Mentre all'estero, in particolare in Germania e nei paesi dell'est europeo, si sviluppa e consolida una maggiore diffusione di vitigni PIWI, in Italia sono ancora molte le Regioni che non permettono, o lo consentono solo in modo sperimentale, l'uso di questi vitigni ibridi resistenti, anche se l'80-90% dell'ibrido è comunque rappresentato da vitis vinifera e solo la quota residuale è rappresentata dalla varietà selvatica.

C'è da evidenziare che anche esperti del settore ammettono che esiste ancora una discreta differenza di qualità tra vino PIWI bianco e quello rosso, il primo molto più interessante a livello di aromi, il secondo più incerto in quanto, restando il mosto, per la vinificazione in rosso, maggiormente a contatto con la buccia, le caratteristiche della varietà influenzano molto di più il vino prodotto, evidenziando, a volte troppo, la caratteristica olfattiva 'foxy' (quella percezione che i sommelier italiani classificano come 'poco fine').

Resistenze a parte, giustificate o meno, l'aumento della qualità del vino prodotto da questi vitigni, soprattutto per i bianchi, unita all'esigenza di ridurre l'impatto della chimica sull'agricoltura per salvaguardare ambiente e salute, oltre al positivo impatto sui costi di coltivazione, fanno di questi prodotti la prossima frontiera della produzione vitivinicola mondiale.

Per chiudere, attualmente risultano iscritte al Registro Nazionale 34 varietà PIWI:

A bacca bianca: Bronner, Cabernet Blanc, Charvir, Fleurtai, Helios, Kersus, Johanniter, Muscaris, Palma, Pinot Iskra, Sauvignon Kretos, Sauvignon Rytos, Sauvignon Nepis, Solaris, Soreli, Souvignier Gris, Valnosia.

A bacca nera: Cabernet Carbon, Cabernet Cortis, Cabernet Eldos, Cabernet Volos, Cabertin, Julius, Merlot Khorus, Merlot Kanthus, Nermantis, Pinotin, Pinot Kors, Pinot Regina, Prior, Regent, Sevar, Termantis, Volturnis.

PS.

al momento nel nostro catalogo abbiamo un solo produttore, la veneta GIOL, con il suo vino bianco 'Sesto Senso' da uve Bronner ma ci ripromettiamo di restare ben sintonizzati sull'argomento.