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Vino certificato BIOLOGICO.
Vinificazione: Pigiatura soffice delle uve con fermentazione spontanea a temperatura controllata
Maturazione: Affinamento per 12 mesi in acciaio con successivi 12 mesi in bottiglia
Varietà: Greco
Suolo: Argilloso calcareo
Sistema di allevamento: Guyot semplice
Densità media: 3500 ceppi per ettaro
Resa media: 60 qli per ettaro
Raccolta: Raccolta manuale delle uve
Età media delle vigne: 10 anni
Trattamenti delle vigne: Zolfo e rame in quantità minime
Titolo alcolometrico: 13,5%
Per la sua tipicità di avere il grappolo doppio, il Carlucci ipotizza una discendenza del vitigno dal gruppo delle “Aminee gemelle”, viti introdotte in Campania da coloni Greci 2000 anni fa, e coltivate dai Romani e descritte da Catone, Virgilio, e Plinio il vecchio. Insieme al Fiano e alla Falanghina rappresentano i più importanti e diffusi vitigni a bacca bianca della tradizione campana.
Vini Buoni d’ITALIA Touring Club 2019, Golden Star Greco 2019
International Organic Wine Award 2019, medaglia d'argento per MORGIA Greco 2017
Giallo paglierino tendente al dorato. Profumi che riccordano albicocca e fiori d'acacia, con note di tiglio, camomilla e pompelmo. In bocca regna la freschezza e leggera sapidità.
Temperatura di servizio: 12-14°
Abbinamenti perfetti con pesci grassi, cucina di mare, frutti di mare e crostacei o primi a base di pesce
Nel 1945 nostro nonno Vincenzo, eredita dei terreni dai suoi genitori e seguendo le loro orme, continua a coltivarli con amore e passione. All’epoca i vigneti erano tutti a tendone, il vero impianto tradizionale del Sannio, e nella stragrande maggioranza, erano coltivati in promisquità con le olive e non erano quasi mai monovitigno.
Nella stessa vigna convivevano più varietà come l’ Agostinella il Tr’bb’dacu e il Piscialetto, il Fiano, la Falanghina e il Greco. All’epoca il vino si produceva per autoconsumo o, al massimo, per venderlo localmente e quindi non si badava tanto ai dettagli, ma più alla sostanza.
Purtroppo, nel secondo dopoguerra inizia, per il territorio Sannita e anche per le vigne di nonno, un processo di riammodernamento. L’economia era ai minimi storici e tutti i viticoltori di quel tempo iniziarono ad impiantare varietà più produttive e con una maggiore richiesta di mercato come il Trebbiano Toscano, la Malvasia Bianca di Candia o il Sangiovese, mettendo da parte tutte, o quasi, le varietà autoctone.
Poi, intorno agli anni ’70, i lavori in vigna vengono affidati a nostro padre Domenico (in foto a sinistra), che inizia il cambio di rotta. Crea ufficialmente l’azienda agricola ed inizia ad impiantare nuovi vigneti. Nel 1978 il primo impianto di Fiano, 3600 metri quadri, a filari, con una densità di 2600 ceppi per ettaro. Quasi un’eresia! Tutti glielo sconsigliavano perché rendeva poco ed era molto vigoroso. Dritto per la sua strada, nostro padre ha continuato a rinnovare le vigne, reimpiantando vitigni autoctoni. La lungimiranza e la costanza gli hanno dato ragione. Oggi, al terzo passaggio generazionale, ci lascia gestire e continuare il suo lavoro. Nel 2012 il nostro primo impianto di Piedirosso e nel 2014 di Sciascinoso. I progetti di recupero delle antiche varietà sono tanti. Il futuro è nelle radici.
Tutti parlano di Biologico come se fosse un nuovo modo di coltivare il vigneto, in realtà non è così, l’agricoltura dei nostri nonni, almeno fino all’avvento dell’industria agrochimica, era biologica e direi anche biodinamica. Da sempre l’agricoltura ha seguito le fasi lunari e da sempre rame, zolfo, calce viva e macerati di erbe sono state le armi contro patogeni e parassiti.
Pensate che l‘efficacia del rame contro i funghi ebbe rilievo con gli studi del botanico Benedict Prevost nel 1807, il quale osservò che le spore del carbone dei cereali non potevano germinare se poste in acqua bollita in recipienti di rame.
Ma il merito dell’utilizzo del rame in viticoltura va ad un vignaiolo francese della zona di Bordeaux. Infatti il botanico Millardet nel 1885 osservò che le viti sulle quali, questo vignaiolo, aveva imbrattato con una soluzione di calce preparata in recipienti di rame, per dissuadere i passanti a mangiare l’uva, restavano immuni dalla peronospora e le viti erano anzi agevolate nella vegetazione.
L’osservazione di Millardet, avvenuta in un momento in cui la peronospora della vite comprometteva pesantemente i vigneti francesi, portò alla nascita della poltiglia bordolese, un composto complesso derivante dalla reazione del solfato di rame con idrato di calcio che deve il nome alla provincia di Bordeaux, dove fu compiuta la scoperta. Il rame è un metallo pesante che agisce per contatto e che tende ad accumularsi nel terreno , il suo quantitativo annuo, utilizzabile in agricoltura biologica, è di 4 kg per ettaro.
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